Gianluca Pomante
Avvocato esperto in tema di Privacy e IT
La crescente sensazione di insicurezza percepita dai cittadini, unita alla continua riduzione dei prezzi dei prodotti elettronici, ha portato una quantità sempre maggiore di soggetti privati a fare ricorso a sistemi di videosorveglianza per tutelare il proprio ambito personale e patrimoniale.
Se, inizialmente, il frequente ricorso alle telecamere era appannaggio dei proprietari di villette e case isolate, da diversi anni, ormai, anche sui pianerottoli dei palazzi hanno fatto la loro comparsa gli “occhi elettronici”, ampliando il già nutrito numero di controversie di natura condominiale. Che il condominio non sia il posto migliore per rilassarsi è ormai noto.
Ma che potesse, proprio in tale ambito, verificarsi un consistente contenzioso causato da un sostanziale vuoto normativo ancora da colmare, sicuramente nessuno poteva aspettarselo.
Occorre, quindi, quantomeno, esaminare gli aspetti essenziali della materia per cercare di trovare una soluzione temporanea, in attesa del sospirato intervento legislativo. Che, si spera, non proceda a confondere maggiormente gli interessati…
Rispettare le regole del Garante
Chi intende installare una telecamera di videosorveglianza per proteggere dalle aggressioni il proprio patrimonio o i propri cari, dovrebbe teoricamente rispettare alcune regole, dettate dal Garante con le proprie linee guida, ed essere formalmente a posto con la legge.
Tra le principali, occorre ricordare che:
a) l’angolo di ripresa non deve eccedere il trattamento necessario a tutelare un legittimo interesse
b) il trattamento deve essere finalizzato alla sicurezza patrimoniale e personale
c) deve essere data idonea informativa agli interessati prima che entrino nel raggio di azione delle telecamere
d) la conservazione deve essere limitata nel tempo a un massimo di 24 ore
e) l’adozione di idonee misure di sicurezza.
Ciò non è sufficiente, chiaramente, a sedare possibili diatribe in ambito condominiale, dove la sorveglianza della proprietà esterna comporta, spesso, il contestuale controllo degli spazi comuni. E i contrasti non sorgono solo tra i condomini, ma, evidentemente, anche tra gli operatori del diritto.
Lo specifico tema della sorveglianza delle aree comuni negli edifici è già stato oggetto di una duplice segnalazione, da parte del Garante Privacy, al Parlamento e al Governo, da ultimo con le linee guida sulla videosorveglianza datate 8 aprile 2010, affinché, stante l’assoluta carenza di regolamentazione in materia, provvedessero a sanare la situazione con un intervento normativo.
Infatti, in tale materia sorge, innanzitutto, la difficoltà nell’individuare il titolare del trattamento, potendosi verificare la duplice situazione dell’impianto installato dal singolo condomino e di quello installato dal condominio su deliberazione dell’assemblea.
Inadeguatezza del corpus Normativo sul condominio
L’attuale corpus normativo sul condominio non consente di individuare con certezza neppure i soggetti titolari del diritto di voto in assemblea, potendo, teoricamente, essere interessati all’installazione di un impianto condominiale tanto i proprietari quanto gli inquilini – e per motivi diversi tra loro.
Così come ciascuno di essi può essere controinteressato, in qualità di soggetto passivo del trattamento, e, quindi, avere diritto di opporsi all’installazione.
Analogamente, potrebbe vantare il diritto di opporsi al trattamento chiunque frequenti abitualmente l’edificio per vincoli familiari o per ragioni di lavoro.
Occorrerebbe, infine, stabilire, da parte dell’assemblea, che tipo di deliberazione risulterebbe necessario adottare, nelle distinte ipotesi di installazione di un impianto condominiale o di autorizzazione/nulla osta rilasciata a un impianto privato: se a maggioranza, eventualmente qualificata, ovvero all’unanimità.
Le modalità di installazione potrebbero, perfino, integrare il delitto di interferenza illecita nella vita privata ex art. 615 bis cod. pen., qualora la zona sottoposta a controllo risultasse, anche solo in parte, uno spazio di pertinenza di un altro soggetto (ad esempio, un giardino o cortile interno).
Nell’esaminare le singole situazioni che possono manifestarsi, è, poi, necessario procedere alla valutazione degli interessi contrapposti: da un lato, l’esigenza di preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni privati o comuni; dall’altro, il timore di poter essere controllati e analizzati proprio all’interno del condominio, ove si svolge con maggiore frequenza la vita privata di un soggetto.
Una consapevolezza che potrebbe incidere su abitudini e stili di vita individuali e familiari, venendo a mancare, per gli interessati, la libertà di movimento e di iniziativa, sia in relazione al loro domicilio che agli spazi condominiali.
Sarebbe, infatti, agevole, per chi avesse la possibilità di accedere ai dati registrati dal sistema, conoscere gli orari di entrata e uscita dei singoli condomini, gli sport e gli hobby che praticano, le persone cui si accompagnano, i vestiti che indossano più frequentemente, gli acquisti che fanno e così via.
Una situazione, quindi, oltremodo delicata da affrontare, che potrebbe vertere sull’opportunità di sottoporre a sorveglianza anche il pianerottolo su cui affaccia il singolo appartamento, piuttosto che l’androne nel quale abitualmente vengono riposte le biciclette dei condomini.
Le sentenze recenti
Il Tribunale di Salerno ha affrontato la problematica nel dicembre del 2010 incentrando l’attenzione soprattutto sul profilo attivo del trattamento, ossia sull’esatta individuazione del soggetto che potesse correttamente qualificarsi “titolare del medesimo” La questione posta all’attenzione del collegio verteva sulla possibilità di individuare come titolare l’assemblea condominiale, trattandosi dell’organo teoricamente deputato a decidere sull’eventuale installazione di un sistema di videoregistrazione.
Secondo il giudice campano, la decisione non rientra tra i compiti dell’assemblea, poiché “lo scopo della tutela dell’incolumità delle persone e delle cose dei condomini, cui tende l’impianto di videosorveglianza, esula dalle attribuzioni dell’organo assembleare”. Analogamente, la Cassazione aveva ritenuto, il 20 aprile 1993, con Sentenza n. 4631, che la delibera istitutiva di un servizio di vigilanza armata, per la tutela dell’incolumità dei partecipanti, perseguisse finalità estranee alla conservazione e gestione delle cose comuni e dovesse, pertanto, essere annullata.
Il Tribunale di Salerno ha, quindi, evidenziato come l’assemblea di condominio non possa in alcun modo essere individuata come legittimo titolare del trattamento dei dati personali, non essendo altro che un organo di amministrazione del condominio, attraverso il quale i proprietari delle singole unità immobiliari disciplinano l’utilizzo e la conservazione delle parti comuni. Non potrebbe, quindi, essere, in nessun caso, titolare del trattamento dei dati personali degli interessati che dovessero entrare nel raggio di azione delle telecamere, poiché le sue competenze sono limitate dai poteri conferiti dal codice civile e non possono invadere la sfera dei diritti individuali dei singoli condomini o di qualsiasi altro soggetto controinteressato.
Interpretazione discutibile. Una possibile soluzione potrebbe trovarsi nell’adozione di una delibera all’unanimità, che, tuttavia, risolverebbe solo l’eventuale conflitto in seno all’assemblea, mentre resterebbe precluso ai conduttori degli immobili, ad esempio, il potere di incidere sulla decisione. Secondo altra pronuncia giurisprudenziale relativamente recente (Trib. Varese, 16 giugno 2011, n. 1273), neppure il privato avrebbe la facoltà di installare un sistema di videoregistrazione in ambito condominiale, al fine di riprendere gli spazi comuni. Contrariamente a quanto evidenziato dal Tribunale di Salerno, secondo il Tribunale di Varese potrebbe, tuttavia, procedere il condominio, nell’ipotesi di consenso all’unanimità dell’assemblea, potendosi rilevare, in tal caso, il perfezionamento di “un consenso comune atto a fondare effetti tipici di un negozio dispositivo dei diritti coinvolti”.
Anche tale soluzione, tuttavia, non convince appieno, pur potendosi considerare la più valida per evitare conseguenze di natura civile e penale. Sono, infatti, esclusi dalla decisione tutti quei soggetti che sono ugualmente – e forse anche maggiormente – interessati all’utilizzo degli spazi comuni e dovrebbero essere coinvolti nell’adozione di una simile decisione.
Almeno in sede penale, la questione sembra risolta positivamente, dato che la Corte di Cassazione, con Sentenza n. 44156 del 26.11.2008, ha affermato che “non commette il reato di cui all’articolo 615-bis del codice penale (interferenze illecite nella vita privata) il condomino che installi per motivi di sicurezza, allo scopo di tutelarsi dall’intrusione di soggetti estranei, alcune telecamere per visionare le aree comuni dell’edificio (come un vialetto e l’ingresso comune dell’edificio), anche se tali riprese sono effettuate contro la volontà dei condomini, specie se i condomini stessi siano a conoscenza dell’esistenza delle telecamere e possano visionarne in ogni momento le riprese”.
Da ultimo, il Tribunale di Monza, con la Sentenza n. 1087/2012, sembra confermare l’impostazione data alla materia dalle precedenti pronunce di merito, nel senso di escludere la titolarità del trattamento in capo all’assemblea condominiale, affermando, anzi, che la stessa non avrebbe neppure quello di vietare a un singolo condominio l’installazione di telecamere di videosorveglianza.
La soluzione della Corte di Cassazione: pro e contro
La soluzione preferibile appare, quindi, quella delineata dalla Corte di Cassazione. Il condomino ha pieno diritto di agire in assoluta autonomia, senza dover acquisire alcuna autorizzazione assembleare, attenendosi alle disposizioni del Codice della Privacy. Dovrà, pertanto, dare ampia informazione dell’installazione agli altri condomini, eventualmente avvisando della stessa proprio l’assemblea e ottenendo una sorta di “nulla osta” da quest’ultima.
Dovrà apporre i cartelli necessari ad allertare gli interessati che stanno entrando nel raggio di azione della telecamera, avendo cura di renderli visibili anche nelle ore notturne e di impostare l’angolo di ripresa in modo tale che non vada a incidere su parti private, evitando l’installazione di telecamere motorizzate, dotate di brandeggio e zoom, ove non indispensabili, poiché potrebbero consentire un utilizzo illecito delle stesse.
Dovrà, infine, utilizzare, in caso di videoregistrazione, un impianto dotato di sovrascrittura automatica delle informazioni alla scadenza delle 24 ore dalla ripresa, ovvero motivare le ragioni per le quali ritiene di dover adottare un termine di conservazione dei dati maggiore.Il problema, dunque, sembrerebbe risolto nel senso di lasciar spazio all’iniziativa del singolo, negandola all’assemblea, ma, a ben vedere, la soluzione appare incompleta e irragionevole: se il singolo condomino può installare un sistema di videosorveglianza senza che l’assemblea possa opporsi a tale decisione, a maggior ragione il condominio, riunito in assemblea, dovrebbe poter dare mandato all’Amministratore al fine di provvedere all’installazione di un sistema di videosorveglianza volto a tutelare le parti comuni e i condomini stessi dall’azione di eventuali malintenzionati.
La circostanza che l’assemblea sia l’organo di gestione delle parti comuni, oltre a essere riduttiva (perché sarebbe più corretto parlare di tutela degli interessi comuni), non esclude che nell’ambito della gestione delle parti comuni rientri anche l’installazione di un sistema di videosorveglianza delle stesse, rispetto al quale titolare del trattamento sarebbe il condominio, nella persona del suo legale rappresentante